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Valido l’avviso di accertamento fondato unicamente sulle verifiche effettuate dagli organi esecutivi dell’OLAF

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Gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF – cioè l’Ufficio europeo per la lotta antifrode – ai sensi del Regolamento (CE) n. 1073/1999, possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi doganali sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo: lo ha affermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza 17 maggio 2019, n. 14026, depositata lo scorso 7 luglio (in tal senso si segnala anche Cass. 21 marzo 2019, n. 7993).

Per i giudici di legittimità, in particolare:

  1. tali accertamenti hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria (Cass. 21 aprile 2017, n. 1011827 luglio 2012, n. 134962 marzo 2009, n. 4997, e 24 settembre 2008, n. 23985);
  2. sono inoltre utilizzabili quali fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF anche i documenti acquisiti e la comunicazione di qualsiasi informazione ottenuta nel corso delle indagini espletate, compresi i verbali delle operazioni di missione, che siano stati trasmessi alle autorità nazionali (Cass. 8 marzo 2013, n. 58923 agosto 2012, n. 14036, e 27 luglio 2012 n. 13496).

Recentemente, anche con l’ordinanza 17 gennaio 2020, n. 893, la Suprema Corte aveva affermato che non può sorgere alcun dubbio sulla valenza probatoria in sede giurisdizionale degli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria, tanto che tali accertamenti possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento.

Inoltre, con l’ordinanza 6 maggio 2020, n. 8486, gli Ermellini hanno sottolineato che lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220 del Regolamento CEE n. 2913/1992 ha valenza esimente solo in quanto riconducibile a una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza e, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore (Cass. 16 maggio 2012, n. 7674).

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