Dalla Cassazione chiarimenti sugli effetti della firma illeggibile apposta sull’avviso di ricevimento degli atti
In merito alla firma illeggibile apposta sull’avviso di ricevimento, la Corte di Cassazione ritiene che qualora l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla “firma del destinatario o di persona delegata” e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dall’art. 7, comma 2 , della Legge 20 novembre 1982, n. 890, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso.
A tal fine, a nulla rileva che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 del codice di procedura civile (Cass. 3 luglio 2014, n. 15201).
Alle medesime conclusioni è approdata ora la sezione tributaria della Suprema Corte con l’ordinanza 11 ottobre 2022, n. 30916, depositata lo scorso 19 ottobre.
Per i giudici di legittimità, inoltre, nell’ipotesi cui la notifica sia avvenuta a mezzo del servizio postale, la fase essenziale del procedimento è costituita dall’attività dell’agente postale, mentre quella dell’ufficiale giudiziario (o di colui che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notificazione) ha il solo scopo di fornire al richiedente la prova dell’avvenuta spedizione e l’indicazione dell’ufficio postale al quale è stato consegnato il plico, sicché, qualora all’atto sia allegato l’avviso di ricevimento ritualmente compilato, la mancata apposizione sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario della relazione prevista dall’art. 3 della Legge 20 novembre 1982, n. 890, non comporta l’inesistenza della notifica, ma una mera irregolarità, che non può essere fatta valere dal destinatario, trattandosi di un adempimento che non è previsto nel suo interesse (Cass. 8 luglio 2015, n. 14245, 17 gennaio 2018, n. 952).