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Gratuito patrocinio: lo Stato deve anticipare gli onorari a consulenti, notai e custodi

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In caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, gli onorari e le indennità dovuti a consulenti, notai e custodi devono essere anticipati direttamente dall’Erario: lo ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza 5 giugno 2019, n. 217 , depositata lo scorso 1° ottobre.

In particolare, dichiarando incostituzionale l’art. 131, comma 3, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Consulta “boccia” l’applicazione dell’istituto della “prenotazione a debito”, che secondo un precedente indirizzo doveva considerarsi di per sé idonea a soddisfare consulenti, notai e custodi. Infatti:

  1. la disposizione censurata stabilisce che gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e all’ausiliario del magistrato sono prenotati a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite, se non è possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per vittoria della causa o per revoca dell’ammissione. Analoga disciplina è disposta per gli onorari del notaio per lo svolgimento di funzioni demandategli (nei casi previsti dalla legge) dal magistrato, nonché per l’indennità di custodia del bene sequestrato. Essa consente, dunque, la prenotazione a debito del compenso del consulente (e dei soggetti assimilati) successivamente alla richiesta del relativo pagamento alle parti del giudizio;
  2. la pronuncia in esame ha dichiarato l’incostituzionalità della norma citata nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai soggetti ivi indicati siano “prenotati a debito, a domanda”, “se non è possibile la ripetizione”, anziché direttamente anticipati dall’Erario;
  3. si tratta – come precisa un comunicato stampa diffuso dalla medesima Corte – “di un parziale mutamento di indirizzo rispetto al precedente che aveva portato al rigetto di altre censure nei confronti della norma oggi dichiarata incostituzionale”.

Peraltro, affermano i giudici delle leggi, “l’impianto della motivazione è coerente con la pregressa giurisprudenza che aveva escluso che gli oneri conseguenti alla tutela dell’indigente potessero gravare su alcune categorie professionali”.

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