Per la Corte di Cassazione, in materia di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce.
A tal fine, per “origine” si intende il luogo dove la merce è stata realizzata e per “provenienza” il luogo dal quale essa giunge o dove è stata oggetto di lavorazione o trasformazione (non essendo sufficienti le operazioni di spolveratura, lavaggio, verniciatura, selezione, riduzione a pezzi, ecc.).
Di conseguenza, considerato che un certificato di origine “ignota” va considerato come “inesatto”, le Autorità doganali, qualora constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi doganali, salve le seguenti deroghe (che devono concorrere cumulativamente):
Nel contesto sopra descritto, non può dirsi sussistente la buona fede dell’importatore qualora, sebbene abbia evidenti ragioni per dubitare dell’esattezza di un certificato di origine “modulo A”, egli si sia astenuto dall’informarsi, nella massima misura possibile, delle circostanze del rilascio di tale certificato per verificare se tali dubbi fossero giustificati (così si è espressa la Corte di Giustizia Ue con la pronuncia 16 marzo 2017, causa C-47/16, § 43).
I principi che precedono sono stati confermati dalla quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 8 gennaio 2019, n. 11405, depositata lo scorso 30 aprile.
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