Nei confronti del Fisco è escluso il raddoppio del contributo unificato
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle spese di giustizia) – introdotto dall’art. 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di Stabilità 2013) – in caso di impugnazione, anche incidentale, respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte proponente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. Il giudice è tenuto a dare atto nel provvedimento della sussistenza dei citati presupposti e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito del provvedimento medesimo.
Al riguardo, con l’ordinanza 3 dicembre 2020, n. 2425, depositata lo scorso 3 febbraio, la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione ha affermato che tale versamento non può aver luogo per quelle parti, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito.
Si ricorda che, con la sentenza 20 febbraio 2020, n. 4315, le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte avevano affermato che la debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è condizionata per legge a “due presupposti”:
- il primo – di natura processuale – è costituito dall’avere il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione;
- il secondo – di natura sostanziale – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento della iscrizione della causa al ruolo.
