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Tassazione internet pagato al dipendente

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Sono fiscalmente rilevanti, ai sensi dell’art. 51, comma 1, del Tuir, i rimborsi ai lavoratori dipendenti in smart working dei costi relativi:

  1. alla connessione internet con dispositivo mobile (“chiavetta internet”);
  2. all’abbonamento al servizio dati domestico, al fine di consentire lo svolgimento della prestazione di lavoro da remoto.

In particolare, con la Risposta all’istanza di interpello 24 maggio 2021, n. 371, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che tale conclusione si applica qualora il rimborso non si circoscriva al solo costo riferibile all’esclusivo interesse del datore di lavoro in quanto ricomprende tutte le spese sostenute dal lavoratore per l’attivazione e per i canoni di abbonamento ad internet.

D’altro lato, l’importo di tale rimborso spese è deducibile ai sensi dell’art. 95, comma 1, del Tuir, in quanto assimilabile alle “Spese per prestazioni di lavoro”: si tratta invero di un rimborso spese riconosciuto al dipendente in smart working per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet e quindi per soddisfare un’esigenza del dipendente, legata alle modalità di prestazione dell’attività in lavoro agile.

Sull’argomento si ricorda inoltre che:

  1. possono essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente, ad esempio per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, ecc. (Circolare 23 dicembre 1997, n. 326);
  2. le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non devono essere tassate in quanto sono state sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda messe a disposizione dal datore di lavoro (e quindi per poter lavorare) (Risoluzione 7 dicembre 2007, n. 357/E);
  3. concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente le somme rimborsate – sulla base di un criterio forfetario, non supportato da parametri oggettivi – dal datore di lavoro ai propri dipendenti che svolgono la loro attività lavorativa in smart working (Risposta 11 maggio 2021, n. 328).

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