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Compensazione indebita, non rileva la mancata registrazione dell’operazione nel cassetto fiscale

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Il reato di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato in cui si perfeziona la condotta decettiva del contribuente e si realizza il mancato versamento, per effetto della compensazione dei debiti verso l’Erario con crediti in realtà non spettanti secondo la normativa. Di conseguenza, a nulla rileva la mancata registrazione dell’operazione nel cassetto fiscale, documento che ha valenza ricognitiva del rapporto obbligatorio inter partes, ma privo di effetti costitutivi o modificativi: lo ha affermato la terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza 23 giugno 2020, n. 23027, depositata lo scorso 29 luglio. Per i giudici di legittimità, quindi, l’eventuale mancato computo della compensazione da parte dello Stato e il conseguente non aggiornamento del cassetto fiscale non rilevano in quanto tali operazioni sono successive alla presentazione del modello, “unico fatto direttamente incidente sulla consistenza del rapporto obbligatorio tra Amministrazione e contribuente”.

Si ricorda che, con la sentenza 21 febbraio 2018, n. 35, la Corte Costituzionale affermò la legittimità della previsione di una diversa soglia di punibilità tra indebita compensazione e infedele dichiarazione, stante la natura eterogenea delle fattispecie criminose che si distinguono per oggetto, condotta e ambito di tutela. In altre parole: nella differenziazione del profilo sanzionatorio non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 3 della Costituzione.

L’indebito utilizzo dei crediti in compensazione è disciplinato dal richiamato art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. A mezzo la novella del 2015, il legislatore ha modificato la sanzione prevista per il reato in base alla tipologia del credito utilizzato. In questo modo, laddove ci si trovi dinnanzi all’uso in compensazione di crediti non spettanti, la pena correlata è la reclusione da sei mesi a due anni; se, invece, vengono utilizzati crediti inesistenti, la pena edittale è decisamente più aspra e contempla la reclusione da diciotto mesi a sei anni. È stabilita la soglia di 50.000,00 euro per ogni periodo d’imposta.

Secondo l’interpretazione di dottrina e giurisprudenza, si considerano crediti non spettanti quegli importi che, nonostante siano certi nel loro ammontare e nella loro esistenza, non sono “legittimamente” compensabili. A titolo esemplificativo si citano i crediti esistenti, ma non ancora esigibili perché non iscritti in dichiarazione. I crediti inesistenti, invece, sono crediti del tutto “fittizi”, costituiti da somme per le quali non si ravvisano né elementi costitutivi, né giustificativi, come, ad esempio, quelli che scaturiscono dall’utilizzo di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.

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