La buona fede dell’importatore non lo esime dal pagamento del dazio dovuto
La buona fede dell’importatore il quale abbia confidato nella genuinità dei certificati di circolazione di merci importate in regime rilasciati dall’esportatore, non lo esime dal pagamento del dazio effettivamente dovuto: lo ha confermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 2 luglio 2019, n. 8486 , depositata lo scorso 6 maggio. Per i giudici di legittimità, infatti, qualora si faccia questione dell’affidamento su un certificato attestante l’origine preferenziale della merce rilasciato dall’autorità di un Paese terzo e che si accerti successivamente essere inesatto, rileva solo se il rilascio irregolare di questo sia dovuto ad un errore di tale autorità, che, oltre a non essere ragionevolmente rilevabile dal debitore, il quale abbia comunque osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore, non sia determinato da una situazione inesatta riferita dall’esportatore (al riguardo si richiama Cass. 19 settembre 2012, n. 15758).
In particolare, il legittimo affidamento del debitore merita la tutela prevista dall’ordinamento solo se sono state le autorità competenti a porre in essere i presupposti sui quali si basava tale legittimo affidamento, ossia “solo gli errori imputabili a un comportamento attivo delle autorità competenti fanno sorgere il diritto a che i dazi doganali non vengano recuperati a posteriori” (Corte di Giustizia Ue, 16 marzo 2017, Veloserviss, causa C-47/16, punto 28).