Nel processo tributario, la dichiarazione di rinuncia non accettata dalla controparte non è idonea a determinare l’estinzione del giudizio in quanto non è accompagnata dalle formalità previste dall’art. 390 del codice di procedura civile.
Detta dichiarazione, peraltro, vale comunque a far ritenere venuto meno l’interesse alla decisione della causa e determina pertanto l’inammissibilità sopravvenuta del ricorso.
È quanto affermato dalla quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 20 marzo 2019, n. 8861, depositata lo scorso 29 marzo.
In linea generale, la giurisprudenza ritiene che la cessazione della materia del contendere presupponga che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conformi conclusioni in tal senso (Corte di Cassazione nn. 16886/2015, 11813/2016, 23289/2007 e 21059/2018).
Peraltro, anche in assenza di conclusioni condivise, il giudice può comunque rilevare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla impugnazione, venendo in conseguenza a realizzarsi la fattispecie estintiva di quel giudizio.
Infatti – osservano i giudici di legittimità – l’assenza di interesse ad agire, richiesto per qualsiasi domanda dall’art. 100 del codice di procedura civile, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, perché costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda.
Di conseguenza la sua sussistenza dev’essere accertata dal decidente anche quando non vi è contrasto tra le parti sul merito della stessa (così, Cass. n. 19268/2018, n. 13109/2012 e n. 15084/2006).
Si ricorda che ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (“Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere”):
La norma conteneva anche un terzo comma, per effetto del quale nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate: tale disposizione è stata peraltro dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza 4-12 luglio 2005, n. 274, “nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge”.
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