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Sindaci sanzionabili per la violazione delle norme in materia di intermediazione finanziaria

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Con la sentenza 10 ottobre 2019, n. 14708, depositata lo scorso 10 luglio, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato alcuni importanti principi in materia di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. Per i giudici di legittimità, in particolare, qualora siano state poste in essere operazioni con “parti correlate”, il collegio sindacale non può limitarsi ad una verifica estrinseca del rispetto delle procedure legali, avendo il dovere di rendere note le criticità per difetto di “correttezza sostanziale”, per difetto di indipendenza dell’“adivsor”, risultante dalle emergenze e la non conformità della procedura allo scopo di legge, che è quello di impedire silenti svuotamenti societari.

Nell’occasione gli Ermellini hanno ricordato, tra l’altro, che in materia di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione o anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali – qualora vengano accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria – sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo “quoad functione”. In capo ai sindaci, infatti, gravano:

  1. da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati a garanzia degli investitori dalla normativa regolamentare emanata dalla Consob;
  2. dall’altro lato, l’obbligo di denuncia immediata alla Banca d’Italia e alla Consob (in tal senso si richiama Cass. 29 marzo 2016, n. 6037).

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