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Società di comodo nel settore immobiliare

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Com’è noto la disciplina delle società non operative è nata con l’obiettivo specifico di colpire le società c.d. “schermo”, ossia quelle strutture giuridiche create ad hoc dal contribuente senza una reale finalità imprenditoriale, ma con l’unico scopo di celare beni patrimoniali dei soci i quali restano, tuttavia, nella loro disponibilità pur senza una formale intestazione.

In detto contesto le società immobiliari, soprattutto quelle di gestione che svolgono in via esclusiva o prevalente l’attività di locazione dei beni immobili posseduti, sono i soggetti giuridici che più di frequente ricadono nelle maglie della norma: vuoi perché in alcuni casi vengono utilizzate per intestarvi beni poi concessi in uso ai soci o loro familiari gratuitamente o, comunque, a canoni inferiori a quelli di mercato, ma abbastanza spesso anche per il fatto che i parametri fissati dall’articolo 30 della L. 724/1994 tendono a sovrastimare i ricavi minimi necessari per non essere considerati di comodo rispetto a quelli effettivamente conseguibili nell’attuale contesto del mercato immobiliare. Mentre la prima delle due situazioni prospettate “incarna” con precisione la fattispecie che la norma si propone (giustamente) di contrastare la seconda, invece, obbliga le società (in particolare le immobiliari) nate senza alcuna finalità elusiva a trovare soluzioni spesso non semplici per ottenere la disapplicazione della disciplina in questione onde evitarne gli effetti fortemente penalizzanti, soprattutto sotto il profilo della tassazione del reddito.

Tralasciando volutamente la normativa – di più recente emanazione – riguardante le c.d. perdite sistemiche, focalizziamo l’attenzione sull’indicatore “classico” utilizzato per smascherare i soggetti considerati di comodo rappresentato dal test di operatività, che consiste nel porre a raffronto la media dei componenti positivi effettivamente conseguiti dalla società nell’esercizio in corso e nei due precedenti con la media – sempre su base triennale – dei ricavi presunti calcolati applicando specifiche percentuali al valore delle attività patrimoniali. Se i primi risultano inferiori all’importo determinato forfetariamente la società si considera di comodo a meno che non sussista una causa di disapplicazione automatica, tra quelle elencate nel comma 1, lettere da a) ad f) del provvedimento 14 febbraio 2008 n. 23681, oppure si riesca a far valere tramite interpello la presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il superamento del test di operatività.

Va detto che, per effetto delle novità introdotte dal D.Lgs. 156/2015, il nuovo interpello probatorio di cui all’articolo 11, comma 1, lett. b) della L. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente) non è più obbligatorio: il contribuente, pertanto, ritenendo sussistere valide ragioni oggettive che non hanno permesso il superamento del test di operatività, può (auto)disapplicare la disciplina sulle società di comodo anche in assenza di interpello o in presenza di interpello con risposta negativa, purché assolva la formalità rappresentata dalla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi, in assenza della quale si renderà applicabile una sanzione amministrativa da € 2.000 ad € 21.000 eventualmente raddoppiabile in caso la legittimità dell’(auto)disapplicazione venga successivamente disconosciuta per effetto della verifica da parte del Fisco della posizione individuale della società.

Le situazioni oggettive che consentono la disapplicazione – anche automatica – della normativa in commento possono essere le più varie, soprattutto con riferimento alle società immobiliari. Ve ne sono alcune, tuttavia, espressamente previste dall’Agenzia delle Entrate nelle circolari 5/E/2007, 25/E/2007 e 44/E/2007, tra cui ad esempio:

  • presenza di soli immobili in corso di costruzione, non idonei a produrre ricavi;
  • dimostrata impossibilità di praticare canoni di locazione sufficienti a pervenire al livello minimo di ricavi (es. quando i canoni dichiarati sono almeno pari a quelli di mercato determinati ai sensi dell’articolo 9 del Tuir). Per l’individuazione del canone di mercato si può fare riferimento alle quotazioni rilevabili nella banca dati dell’OMI;
  • dimostrata impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso;
  • temporanea inagibilità dell’immobile;
  • società con patrimonio immobiliare parzialmente inutilizzabile (es. causa fatiscenza);
  • società in attesa delle necessarie autorizzazioni amministrative per l’edificazione (es. rilascio della concessione edilizia da parte del Comune);
  • società con immobili locati ad enti pubblici con canoni soggetti a parere di congruità da parte dell’Agenzia del Territorio;
  • società che acquista un immobile, subentrando in un contratto di locazione in corso, con canoni non congrui;
  • società con contratto di locazione in corso il cui canone è fissato da anni e senza la possibilità di modificarlo (è necessario dimostrare in tal caso che il canone era almeno pari a quello di mercato nell’anno in cui è stato pattuito);
  • società che procede al rinnovo del contratto adeguando il canone a quello di mercato, ma risulta non operativa per effetto della media triennale (è necessario dimostrare in tal caso che il canone per le due annualità precedenti era almeno pari a quello di mercato nell’anno in cui era stato pattuito).

Al fine di meglio comprendere l’orientamento prevalente in seno all’Amministrazione finanziaria vale la pena analizzare la vicenda alla base di un’istanza di interpello recentemente presentata per l’annualità 2015 e la relativa (ineccepibile) risposta fornita dalla DRE Marche. Il caso è quello di una società immobiliare che possiede in tutto due immobili di cui:

  • unità A: concessa in locazione con contratto valevole dall’1.5.2007 al 30.4.2013, rinnovato tacitamente alla sua scadenza ed in vigore tutt’oggi. Il canone annuo è rimasto invariato sin dall’inizio, fatti salvi gli aggiornamenti annuali ISTAT ed ammonta per l’anno 2015 ad € 20.470,92 più IVA;
  • unità B: è stata locata in passato con contratto valevole dall’1.7.2007 al 28.2.2013, data poi variata per recesso anticipato del locatario al 31.3.2012. Nel 2013 l’immobile è stato concesso in uso temporaneo a diverse società, ma dal 2014 lo stesso risulta sfitto. La società si è immediatamente attivata per trovare un affittuario ponendo in essere diverse iniziative, tra cui:
  • affissione del cartello “AFFITTASI”;
  • conferimento del mandato a due agenzia immobiliari;
  • riduzione del canone annuo richiesto da € 45.000 ad € 36.000;
  • inserzioni su riviste specializzate.

Nessuna delle sopra menzionate iniziative, tuttavia, ha dato i frutti sperati in quanto nella zona su cui insiste lo stabile vi è una grande abbondanza e offerta di immobili della stessa tipologia e dimensione, tra i quali non pochi anche di più recente costruzione.

Alla luce di quanto sopra la Direzione Regionale Marche ha espresso il seguente parere.

  • Unità A:… sebbene il valore del canone locativo mensile al metro quadro dichiarato (€ 3,81) è leggermente inferiore a quello minimo di mercato (€ 4,00), estrapolato dalla banca dati OMI, appare dimostrata l’impossibilità di modificare unilateralmente il contratto di locazione in corso (e in vigore da lunga data) da parte della società istante, rendendo quindi impossibile praticare canoni di locazione sufficienti per superare il test di operatività”.
  • Unità B:… in considerazione che nel 2015 la società ha posto in essere nuove iniziative (vedi mandato all’Agenzia Immobiliare ed il relativo report) questa Direzione, limitatamente all’anno d’imposta 2015, concorda con la soluzione proposta dalla società ritenendo idonei gli elementi probatori forniti per poter disapplicare la normativa in questione. Resta inteso che la disapplicazione in oggetto ha carattere ECCEZIONALE e non potrà applicarsi a tempo indeterminato. In effetti la persistenza di infruttuosi tentativi di locare gli immobili (anche se documentati con specifici mandati a vendere) e/o la concessione in locazione a canoni inferiori a quelli di mercato non può rappresentare uno stato di fatto che permetta di aggirare e di svuotare di efficacia la normativa antielusiva che è volta a contrastare anche la permanenza in vita di società costituite senza finalità elusive ma prive di obiettivi imprenditoriali concreti ed immediati”.

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