La licenza per la somministrazione di alimenti e bevande è un’autorizzazione personale ed intrasmissibile, inadatta ad essere ricompresa tra gli elementi materiali o immateriali il cui insieme costituisce l’azienda: lo ha affermato la sezione II-ter del Tar del Lazio con la sentenza 3 luglio 2020, n. 7706, depositata lo scorso 6 luglio (in tal senso si segnala altresì Cass. 6 febbraio 2004, n. 2240).
Per i giudici amministrativi, in particolare, ai fini dell’individuazione della disciplina relativa alla circolazione del titolo abilitativo alla somministrazione occorre distinguere tra:
Nel primo caso l’autorizzazione è intestata all’acquirente e il precedente titolare perde definitivamente sulla stessa ogni disponibilità; nella seconda ipotesi il titolo rimane sempre nella disponibilità dell’originario titolare e viene semplicemente, per un dato arco di tempo coincidente con la durata del contratto di affitto, utilizzato dall’affittuario (sempreché risulti sia in possesso dei requisiti soggettivi appositamente richiesti). L’affittuario, proprio perché non ne è il titolare, non può trasmetterlo ad altri e qualora il contratto di affitto venga a scadenza oppure si risolva per altre cause, è solo il titolare dell’autorizzazione che ne può riacquistare la disponibilità (oggi attraverso una Scia di reintestazione), non consentendo la natura personale dell’autorizzazione che sulla stessa si accampino contestuali pretese da parte di soggetti diversi dal titolare.
Con la sentenza 30 maggio 2019, n. 6818, la medesima sezione II-ter del Tar Lazio aveva affermato quanto segue:
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