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Fallimento, limiti all’insinuazione tardiva del credito

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Nel procedimento fallimentare la mancata impugnazione – ai sensi dell’art. 98 L.F. (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) – dello stato passivo fallimentare, formato in base all’art. 96 della medesima legge, preclude ogni questione attinente all’esistenza e all’entità del credito ammesso, nonchè all’efficacia del titolo, dal quale il credito stesso deriva (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25640 e 16 marzo 2001, n. 3830).

Ne discende che chi insinui tardivamente il proprio credito sia tenuto ad impugnare un altro credito ammesso, qualora tra le due posizioni si ravvisi una situazione di conflitto.

A tal fine, l’impugnazione del credito tempestivamente ammesso a favore del terzo può essere proposta dal creditore tardivo entro sei mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo delle domande tempestive, in applicazione analogica dell’art. 327 del codice di procedura civile, salva la mancata conoscenza del processo fallimentare, della cui prova il creditore medesimo è onerato (Cass. 5 aprile 2017, n. 8869).

Tali principi sono stati confermati ora dalla sesta sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza 28 giugno 2018, n. 21654, depositata il 5 settembre.

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