La ripartizione dell’onere della prova negli accertamenti da studi di settore
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Con l’ordinanza 27 giugno 2019, n. 24330 , depositata lo scorso 30 settembre, la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti in merito alla ripartizione tra Fisco e contribuente dell’onere della prova nell’ambito delle verifiche fiscali da studi di settore.
In particolare:
- all’ente impositore spetta la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento;
- al contribuente compete invece fornire la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o, almeno, della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce, che imponga la necessità di una correzione dei parametri.
Nell’occasione i giudici di legittimità hanno riaffermato il principio secondo cui:
- i parametri o studi di settore previsti dall’art. 3, commi da 181 a 187, della Legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Finanziaria 1996), rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che – quando eccedono il dichiarato – integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, primo comma, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che dev’essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente;
- su quest’ultimo, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato;
- all’ente impositore fa carico invece la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (in tal senso si richiama altresì la sentenza della Suprema Corte 20 febbraio 2015, n. 3415 ).
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