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L’accertamento analitico-induttivo impone il contraddittorio preventivo solo per i tributi “armonizzati”

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Secondo un orientamento tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di un accertamento analitico-induttivo – la cui disciplina si discosta dalla procedura di accertamento standardizzato mediante studi di settore – occorre distinguere tra i tributi “armonizzati” (come ad esempio l’Iva) e “non armonizzati”.

Per i primi, infatti, in capo all’Amministrazione finanziaria è posto un obbligo generale di contraddittorio endoprocedinnentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, semprechè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.

Per i tributi “non armonizzati”, invece, nella legislazione nazionale non si rinviene un analogo vincolo generalizzato, e pertanto “esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (così le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia 9 dicembre 2015, n. 24823; nello stesso senso, si segnala Cass. 29 ottobre 2018, n. 27421).

Con particolare riferimento ai tributi “armonizzati”, inoltre, i giudici di legittimità hanno sottolineato che, applicandosi direttamente la normativa comunitaria, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte del Fisco comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purché il contribuente assolva in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di tali ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, “sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (così, Cass. 25 gennaio 2017, n. 1969 e 11 maggio 2018, n. 11560).

Alle medesime conclusioni è giunta ora la quinta sezione tributaria con l’ordinanza 29 maggio 2019, n. 22695 , depositata lo scorso 11 settembre.

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