L’omessa notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta – consentita dall’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, oppure di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria.
Pertanto spetterà alla Commissione tributaria, chiamata ad interpretare la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che:
Tale principio è stato ribadito da ultimo dalla quinta sezione tributaria della Suprema Corte con l’ordinanza 7 novembre 2019, n. 565, depositata lo scorso 15 gennaio. Nell’occasione, i giudici di legittimità hanno confermato la regola della impugnabilità – ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – di tutti gli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica una pretesa tributaria ormai definita, i quali, per gli effetti concretamente prodotti nella sfera giuridica del contribuente, appaiono idonei a fondare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 del codice di procedura civile, così da rendere possibile l’immediato esercizio del diritto di difesa.
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