La Tarsu (tassa sui rifiuti solidi urbani) è dovuta “unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni)” (Corte di Cassazione 15 febbraio 2013, n. 3773), in quanto la detenzione o l’occupazione di locali e aree scoperte comporta una “presunzione iuris tantum di produzione di rifiuti”, alla quale consegue la soggezione al tributo, semprechè il contribuente non porti elementi idonei a superarla (Cass. 18 dicembre 2003, n. 19459, 5 agosto 2004, n. 15083 , 15 settembre 2014, n. 19469, 5 settembre 2016, n. 17622 e 19 aprile 2018, n. 9790).
In applicazione di tali principi, in giurisprudenza è stato affermato che:
Si ricorda che ai sensi dell’art. 62, comma 2, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non sono soggetti alla Tarsu i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione.
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