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La dichiarazione fraudolenta è reato di pericolo e di mera condotta

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Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti si connota come reato di pericolo e di mera condotta, che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 3 marzo 2017, n. 10507, conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La pronuncia trae origine dalla presentazione di un ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, la quale, confermando la sentenza di primo grado, condannava i due imputati per il reato di dichiarazione fraudolenta ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000. Questi ultimi, nella qualità rispettivamente di amministratore di fatto e legale rappresentante di una società, utilizzavano due fatture per operazioni inesistenti nell’anno di imposta 2008.

In particolare, i ricorrenti lamentavano l’inosservanza della legge e la mancanza della motivazione in relazione alla prova dell’elemento soggettivo del reato (ovvero, il dolo specifico di evasione) per avere i giudici di secondo grado ritenuto irrilevanti, in sede penale, gli esiti dei procedimenti tributari, che avevano riconosciuto l’assenza di volontà fraudolenta degli imputati.

Sul punto, la Suprema Corte ha affermato tout court che nessuna censura può essere mossa alla motivazione della sentenza dei giudici meneghini, in quanto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis Cassazione, sentenza 25808/2016), il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti si connota come reato di pericolo e di mera condotta, prescindendo quindi dal verificarsi dell’evento di danno.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale, in caso di frode fiscale, il nucleo costitutivo dell’offesa è concretato nella dissimulazione di componenti positivi o dalla simulazione di componenti negativi del reddito, con la conseguenza che il reato si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione dei redditi è presentata agli uffici finanziari, traducendosi in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente e che si pone quale elemento strutturale della fattispecie, la cui realizzazione segna la consumazione del reato.

Conseguentemente, la condotta è compiutamente attuata ed esaurita con la mera utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti nella dichiarazione dei redditi, risultando del tutto irrilevante, sotto il profilo della consumazione del reato, il successivo storno delle medesime, effettuato dopo la perquisizione della Guardia di Finanza.

Sulla base di ciò e di quant’altro evidenziato in sentenza con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende

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