Per l’individuazione dell’abitazione principale rileva anche la dimora abituale
Per la Corte di Cassazione, ai fini dei tributi locali si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, in caso di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per “l’abitazione principale”, prova che deve riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo familiare del contribuente (in tal senso si segnala la pronuncia n. 14398/2010).
Tale principio è stato ribadito ora dalla quinta sezione tributaria della Suprema Corte con l’ordinanza 7 febbraio 2019, n. 6847, depositata lo scorso 8 marzo.
Nell’occasione, in particolare, i giudici di legittimità hanno sottolineato quanto segue:
- ai sensi dell’art. 8, comma 2, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”;
- la detrazione prevista dalla norma richiamata non è legata indissolubilmente alla residenza anagrafica;
- tale constatazione non è contraddetta dalla modifica normativa apportata dall’art. 1, comma 173, della Finanziaria 2007 (Legge 27 dicembre 2006, n. 296), per effetto del quale “(…) al comma 2 dell’articolo 8, dopo le parole: ‘adibita ad abitazione principale del soggetto passivo’ sono inserite le seguenti: ‘, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,’”;
- la norma, quindi, si è limitata ad introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale.