In materia di tributi locali, gli avvisi di accertamento emessi dagli enti locali devono contenere una motivazione che renda comprensibile al contribuente le ragioni sottese alla pretesa impositiva. Sul punto la Corte di Cassazione ritiene – anche alla luce dell’art. 7, comma 1, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) e dell’art. 1, commi 161 e 162, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) – che l’atto debba riportare il valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione: la legge esige che tale imponibile venga ricavato sulla base di molteplici parametri riferibili alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (in tal senso si segnala la sentenza n. 1209/2010).
Alle medesime conclusioni è giunta la quinta sezione tributaria della Suprema Corte con la sentenza 4 giugno 2019, n. 23074, depositata lo scorso 17 settembre. Nell’occasione, gli Ermellini hanno affermato quanto segue:
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