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Per determinare la plusvalenza Irpef non è sufficiente il maggior valore accertato per l’imposta di registro

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Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione fiscale non può procedere ad accertare in via induttiva la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro.

Tale principio deriva dall’art. 5, comma 3, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, che – quale norma di interpretazione autentica – ha efficacia retroattiva. In tal senso la Corte di Cassazione si è espressa con le pronunce 17 maggio 2017, n. 12265 e 6 giugno 2016, n. 11543 e, più recentemente, con l’ordinanza 11 luglio 2018, n. 22353 , depositata lo scorso 13 settembre.

Attraverso questa norma, in particolare, il Legislatore è intervenuto sulla delicata materia delle procedure di accertamento nel caso in cui alcuni elementi possano derivare da accertamenti effettuati nell’ambito di imposte diverse; si tratta di accertamenti effettuati nell’ambito dell’imposta di registro che vengono “traslati” nell’ambito delle imposte sui redditi.

Con la sentenza 30 maggio 2017, n. 13571, la Suprema Corte aveva già avuto modo di sottolineare che il richiamato art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2015, “è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che, come affermato tra le altre da Corte Cost. n. 246 del 1992, il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative.

Peraltro, anche ove volesse porsi in dubbio che la norma in esame sia effettivamente interpretativa, è certo che se il riferimento alla interpretazione da attribuire a norme precedenti non serve per ciò solo ad attribuire ad una norma carattere interpretativo (ove tale carattere essa non abbia effettivamente), tuttavia testimonia l’intento del legislatore di attribuire ad essa il carattere retroattivo che è proprio della norma interpretativa, intento che nella specie trova ulteriore conferma nel comma 4 del citato art. 5, laddove si prevede che le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma nulla si prevede per i commi 2 e 3 (disposizioni formulate come norme interpretative): circostanza, questa, che contribuisce a togliere ogni dubbio circa l’intento del legislatore di attribuire carattere retroattivo alle previsioni dei suddetti commi (così, in motivazione, Cass. 15 aprile 2016, n. 7488 ; v. anche Cass. 10 febbraio 2017, n. 3590 )”.

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